AGRILEVANTE 2019: La canapa industriale quale “prodotto agricolo” nel rapporto gerarchico tra diritto comunitario e diritto degli Stati membri. Il caso Hammerstein.
In occasione di AGRILEVANTE 2019, l’Esposizione Internazionale di Macchine, Impianti e Tecnologie per le Filiere Agricole, nella giornata di sabato 12 ottobre si è parlato per la prima volta anche di canapa industriale.
In tale occasione ho avuto modo, con estremo piacere, di intervenire quale relatore per sottolineare due aspetti che, soprattutto alla luce della recente pronuncia delle SS.UU. della Corte di Cassazione, sono stati probabilmente fraintesi ed offuscati.
1 – La canapa industriale (ossia proveniente da varietà certificate e con tenore di THC inferiore – attualmente – allo 0,2%) è un PRODOTTO AGRICOLO e non può essere considerata una sostanza stupefacente.
2 – Il diritto comunitario è gerarchicamente sovraordinato alla normativa nazionale degli Stati membri.
In questi due semplici elementi è possibile rinvenire la chiave di volta di una tematica alquanto dibattuta. Ma procediamo per ordine:
– Il TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), nell’allegato I, elenca, alla lettera a), i prodotti agricoli cui si applicano le disposizioni del medesimo Trattato, tra cui la “canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata”.
– Il Regolamento (UE) n. 220/2015 qualifica la canapa come “pianta industriale”.
– Il Regolamento (CE) n. 1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17.12.2013 recante organizzazione del mercato comune dei mercati dei prodotti agricoli (che ha abrogato i regolamenti CEE n. 922/72, n. 234/79, n. 1037/2001 (CE) e n. 1234/2007 del Consiglio), all’art. 189, stabilisce le condizioni per l’importazione dei prodotti di canapa in UE e fissa nello 0,2% il limite di THC per l’importazione di canapa greggia (NC 5302 10 00), sementi destinate alla semina (NC 1207 99 20), nonché diversi da quelli destinati alla semina (codice NC 1207 99 91), tanto da prevedere precisi codici doganali.
Appare pertanto evidente come sul piano comunitario la soglia tra canapa industriale e canapa “stupefacente” è stata fissata chiaramente nello 0,2%, soglia che rappresenta l’esigenza di evitare l’erogazione di aiuti PAC ad una coltura potenzialmente illecita.
Ma in che rapporto si pongono le previsioni comunitarie con le normative nazionali restrittive quali quella italiana che ricomprende la cannabis (senza distinzioni come evidenziato dalla Corte di Cassazione) nella tabella II allegata al T.U. Stupefacenti come foglie, fiori, oli e resine?
La soluzione appare piuttosto intuitiva ed è già stata fornita dall’emblematica sentenza della Corte di Giustizia Europea n. 462/01 del 16.01.2003 (cd. caso Hammerstein), la quale già nel 2003, si era espressa su tale problematica con riferimento alla normativa svedese.
In tale pronuncia emerge che se da un lato l’organizzazione comune del mercato UE non impedisce agli Stati membri di applicare norme nazionali che perseguano scopi di interesse generale diversi da quelli perseguiti dall’organizzazione comune, dall’altro la valutazione circa eventuali rischi per la salute pubblica derivante dall’uso di stupefacenti è già stata svolta in sede di organizzazione comune dei mercati.
Ne consegue (essendo la canapa un PRODOTTO AGRICOLO e, come tale, rilevante ai fini del mercato comune) che le norme comunitarie di cui sopra ostano ad una normativa nazionale che abbia l’effetto di vietare coltivazione, detenzione e commercializzazione della canapa industriale (ossia proveniente da varietà certificate e con THC – ad oggi – fino allo 0,2%).
Chiariti tali aspetti fondamentali, ossia che la canapa industriale è un prodotto agricolo e che le norme comunitarie risultano sovraordinate gerarchicamente al diritto degli Stati membri, anche la sentenza resa dalle Sezioni Unite assume una valenza più chiara.
Ogni condotta di produzione, commercializzazione e detenzione di cannabis risulterà illecita e penalmente rilevante ai sensi del DPR 309/1990 ad eccezione delle tassative eccezioni previste dalla normativa comunitaria e dalla L. n. 242/2016.
Quindi, poiché la canapa industriale proveniente da varietà certificate e con tenore di THC inferiore allo 0,2% (attualmente in attesa della imminente decisione del Consiglio Europeo circa l’innalzamento allo 0,3% al pari degli USA) è un prodotto agricolo per espressa definizione comunitaria, essa potrà essere coltivata, trasformata e commercializzata negli ambiti tassativamente elencati dalla L. n. 242/2016, ossia per le sole finalità di cui all’art. 2.
Ma ciò non si traduce – e non potrebbe essere diversamente – in un divieto tout court dell’uso di tutte le parti della pianta di canapa (in quanto non sussiste tale preclusione a livello comunitario), che potrà essere coltivata, trasformata e conferita per le sole finalità di cui alla L. n. 242/2016. Viceversa si genererebbe una indebita compressione del diritto comunitario. Limitazioni all’uso di parti della pianta potranno sussistere solo con riferimento a specifiche destinazioni d’uso in base alle normative di dettaglio.
Non a caso tale impostazione risulta confermata dai provvedimenti di alcune Procure e Tribunali italiani che hanno riconosciuto come la biomassa di canapa contenente fiori, foglie, radici e fusto proveniente da varietà certificate e con limiti inferiori allo 0,2% costituisca un prodotto agrotecnico e, come tale, assolutamente lecito.
Ovviamente tale liceità risulterà limitata alle sole destinazioni previste dall’art. 2 della L. n. 242/2016 e non ad utilizzi non contemplati (quali ad esempio la cd. cannabis light).
Utilizzi diversi da quelli tassativamente elencati dalla legge dovranno essere valutati in concreto, quanto alla rilevanza penale delle singole condotte, secondo il principio di offensività e con riferimento al vago concetto di efficacia drogante, valutazione rimessa dalle stesse SS.UU. al singolo giudicante.
Si può pertanto concludere che:
– la canapa industriale fino allo 0,2% (ad oggi) è un PRODOTTO AGRICOLO e non una sostanza stupefacente;
– ogni normativa nazionale restrittiva circa coltivazione, detenzione e commercializzazione della canapa industriale risulta in contrasto con la normativa nazionale e, segnatamente, con l’organizzazione comune dei mercati.
– in Italia è da ritenersi lecita la coltivazione, trasformazione e conferimento della canapa industriale (in tutte le sue parti) con tenore di THC inferiore allo 0,2% per le finalità tassativamente elencate dall’art. 2 della L. n. 242/2016.