E’ con estrema soddisfazione che pubblichiamo una prima lettura interpretativa della nuova legge sulla canapa industriale che finalmente ha visto la luce dopo un lungo iter procedimentale.
Il DDL S. 2144 predisposto dalla XIII Commissione Agricoltura è infatti stato approvato anche dal Senato della Repubblica Italiana ed è finalmente legge dello Stato, n. 242/2016.
Trattandosi di una prima lettura del testo normativo riteniamo opportuno riportare il testo originale di ogni articolo e successivamente soffermarsi brevemente sul relativo commento.
Art. 1.
(Finalità)
- La presente legge reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativaL.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonchè come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione.
- La presente legge si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
- Il sostegno e la promozione riguardano la coltura della canapa finalizzata:
a)alla coltivazione e alla trasformazione;
b)all’incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali;
c)allo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;
d)alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori;
e)alla realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
Dalla lettura dell’art. 1 emerge chiaramente l’intento di sostenere e promuovere la filiera della canapa industriale italiana alla quale vengono espressamente riconosciute le importanti proprietà, finalità e potenzialità “in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità , nonchè come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione”
Il secondo comma specifica ciò che già veniva applicato nella prassi sulla scorta dei vari regolamenti UE ovvero che l’oggetto della presente legge è quello di disciplinare le coltivazioni di canapa “delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole” per le quali viene espressamente sancita la non applicabilità del T.U. Stupefacenti n. 309/1990, questione che peraltro emergeva già chiaramente dalla normativa vigente internazionale, comunitaria e dal novellato art. 26 T.U. citato.
Il comma 3 precisa le molteplici finalità a cui può essere destinata la canapa, rappresentando in maniera significativa a livello di fonte primaria del diritto i mille usi della coltura in questione. Al tempo stesso il comma 3 pone l’accento anche sulle difficoltà operative sollevate da più parti dagli operatori di settore. Si passa infatti dall’incentivare la coltivazione e la trasformazione, ai semilavorati di canapa provenienti da filiere locali, allo sviluppo di filiere territoriali, alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori, alla realizzazione di opere di bioingegneria.
Appare evidente come il legislatore abbia recepito le enormi potenzialità della canapa che certamente non si fermano alle mere filiere agroalimentari locali, ma che sono destinate, sull’esempio di molti Paesi stranieri, ad utilizzi prettamente industriali.
Art. 2.
(Liceità della coltivazione)
- La coltivazione delle varietà di canapa di cui all’articolo 1, comma 2, è consentita senza necessità di autorizzazione.
- Dalla canapa coltivata ai sensi del comma 1 è possibile ottenere:
a)alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
b)semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;
c)materiale destinato alla pratica del sovescio;
d)materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
e)materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
f)coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonchè di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
g)coltivazioni destinate al florovivaismo.
- L’uso della canapa come biomassa ai fini energetici di cui alla lettera b)del comma 2 è consentito esclusivamente per l’autoproduzione energetica aziendale, nei limiti e alle condizioni previste dall’allegato X alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
L’art. 2, come già anticipato dal comma 2 dell’art. 1 sancisce la piena liceità della coltivazione fugando il campo da ogni dubbio circa la necessità di autorizzazioni preventive per la coltivazione che vengono espressamente escluse chiudendo la porta ad ogni contestazione al riguardo come troppo spesso accaduto da parte di Autorità locali. Da una prima lettura del testo normativo sembrerebbe comunque rimanere in vigore la necessità di comunicazione alla locale stazione di Pubblica Sicurezza previsto dalla circolare del MIPAAF n. 5/2009.
Il comma 2 elenca i prodotti che si possono ottenere dalla canapa. Appare evidente come stante la molteplicità di utilizzi di tale pianta, l’elenco non possa considerarsi tassativo, ma rechi semplicemente l’indicazione dei macro settori di produzione, ovviamente sempre nel rispetto dei limiti prescritti dalla normativa vigente comunitaria e nazionale. E’ da ritenersi apprezzabile come il legislatore abbia voluto parlare di canapa in generale e dei suoi possibili impieghi senza distinzioni tra le parti della pianta, come peraltro già previsto dalla normativa internazionale sin dalla Convenzione di New York del 1961, recepita in Italia nel 1975.
Da sottolineare come il legislatore abbia voluto al comma 3 limitare l’uso della canapa come biomassa ai fini energetici alla sola autoproduzione energetica aziendale alle stesse condizioni e limiti previste dall’allegato X D.Lgs. n. 152/2006, parificando pertanto la canapa agli altri combustibili. Sulla materia comunque saranno necessari dei correttivi in sede attuativa dal momento che la previsione appare estremamente limitante e riduttiva.
Art. 3.
(Obblighi del coltivatore)
Il coltivatore ha l’obbligo della conservazione dei cartellini della semente acquistata per un periodo non inferiore a dodici mesi. Ha altresì l’obbligo di conservare le fatture di acquisto della semente per il periodo previsto dalla normativa vigente.
L’art. 3 disciplina in maniera estremamente sintetica gli obblighi del coltivatore per garantire la tracciabilità delle colture, limitando all’obbligo di conservazione per dodici mesi dei soli cartellini delle sementi, oltre che delle fatture di acquisto delle medesime . Probabilmente il legislatore ha ritenuto di non appesantire eccessivamente i coltivatori di adempimenti burocratici, ma la tracciabilità pare risentirne dal momento che non vi è alcun riferimento circa le singole parcelle di terreno in cui vengono piantate le sementi. Ciò potrebbe generare dubbi sull’origine delle piante e sui terreni di effettiva coltivazione soprattutto per quanto riguarda il biologico. Ci auguriamo che l’eccesso di permissivismo non si traduca nel sacrifico della tracciabilità delle coltivazioni. Da parte nostra ci auguravamo una maggiore attenzione del legislatore alla tracciabilità delle colture al fine di non vedere vanificati gli sforzi delle filiere corte, finalità che peraltro la stessa legge in commento dichiara di perseguire.
Da segnalare che scompare la consuetudine prevista dalla nota circolare del MIPAAF circa la necessità della presentazione della dichiarazione di semina presso i locali posti di Pubblica Sicurezza che per tanti anni aveva generato difformità di posizioni ed ingiuste disparità di trattamento tra una località e l’altra.
Al contrario non si rinvengono nella legge riferimenti al portale SIAN, strumento anch’esso aveva determinato problematiche nella prassi stante la “novità” rappresentata dalla canapa. Riteniamo comunque che rimarrà l’onere per il coltivatore di presentare la dichiarazione di semina attraverso il portale SIAN ai fini dell’accesso al premio PAC. Il fatto che ciò non venga comunque previsto nella legge è un importante segnale per la definitiva parificazione della canapa alle altre colture agricole.
Art. 4.
(Controlli e sanzioni)
- Il Corpo forestale dello Stato è autorizzato a effettuare i necessari controlli, compresi i prelevamenti e le analisi di laboratorio, sulle coltivazioni di canapa, fatto salvo ogni altro tipo di controllo da parte degli organi di polizia giudiziaria eseguito su segnalazione e nel corso dello svolgimento di attività giudiziarie.
- Il soggetto di cui al comma 1 svolge i controlli a campione secondo la percentuale annua prevista dalla vigente normativa europea e nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
- Nel caso di campionamento eseguito da parte del soggetto individuato dal soggetto di cui al comma 1, le modalità di prelevamento, conservazione e analisi dei campioni provenienti da colture in pieno campo, ai fini della determinazione quantitativa del contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) delle varietà di canapa, sono quelle stabilite ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea e nazionale.
- Qualora gli addetti ai controlli, ai sensi del comma 1 reputino necessario effettuare i campionamenti con prelievo della coltura, sono tenuti a eseguirli in presenza del coltivatore e a rilasciare un campione prelevato in contraddittorio all’agricoltore stesso per eventuali controverifiche.
- Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge.
- Gli esami per il controllo del contenuto di THC delle coltivazioni devono sempre riferirsi a medie tra campioni di piante, prelevati, conservati, preparati e analizzati secondo il metodo prescritto dalla vigente normativa dell’Unione europea e nazionale di recepimento.
- Il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge possono essere disposti dall’autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento. Nel caso di cui al presente comma è esclusa la responsabilità dell’agricoltore.
L’art. 4 chiarisce la tematica dei controlli sulle coltivazioni. Con l’entrata in vigore della nuova legge il soggetto adibito ad eseguire i controlli necessari sulle coltivazioni sarà il Corpo Forestale dello Stato (rectius i Carabinieri), che avrà la facoltà di eseguire i prelevamenti e le analisi di laboratorio sulle coltivazioni di canapa. Occorre sottolineare come sono fatti ovviamente salvi gli eventuali controlli eseguiti dalla P.G. nel corso dello svolgimento di indagini giudiziarie.
Appare apprezzabile la designazione di un unico soggetto abilitato, in via ordinaria, ad occuparsi dei controlli sulle coltivazioni e, segnatamente, nell’ex Corpo Forestale dello Stato che da tempo è in prima linea contro le contraffazioni soprattutto in campo alimentare con proficui risultati. Peraltro la diffusione territoriale del Corpo consentirà di instaurare rapporti di collaborazione tra coltivatori ed Istituzioni all’insegna della trasparenza e della tracciabilità.
Significativo anche il riferimento alla vigente normativa europea circa le modalità di esecuzione dei controlli “nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116”, come peraltro avveniva già nella prassi da parte dei soggetti che sinora erano territorialmente deputati all’esecuzione di tali controlli.
Il legislatore si è altresì preoccupato di salvaguardare il diritto al contraddittorio del coltivatore, il quale, qualora si rendessero necessari effettuare campionamenti con prelievi dalla coltura, avranno il diritto di essere presenti personalmente al prelievo e di ricevere copia del campione prelavato per eventuali controanalisi.
Il comma 5 costituisce una vera novità e ci auguriamo possa rappresentare un vero e proprio incentivo per la canapicoltura dal momento che finalmente chiarisce, a livello di legge dello stato, le conseguenze per il coltivatore nel caso in cui i livelli di THC rilevati risultino superiori ai limiti di legge dello 0,2%. La conseguenza è chiara: NESSUNA responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di legge, ovvero ha adempiuto agli obblighi di cui all’art. 3 se il limite rilevato è comunque inferiore allo 0,6%, soglia che, stante la tipologia di sementi in questione, pone senz’altro al riparo i coltivatori dai rischi e dai timori connessi allo sforamento del contenuto di THC nelle coltivazioni.
Peraltro il successivo comma 5 precisa che i valori di THXC rilevati debbono sempre riferirsi non a prelievi isolati, bensì a valori medi “tra campioni di piante, prelevati, conservati, preparati e analizzati secondo il metodo prescritto dalla vigente normativa dell’Unione europea e nazionale di recepimento”.
Il comma 7 limita la facoltà di sequestro e/o distruzione delle coltivazioni di canapa soltanto su ordine dell’Autorità Giudiziaria e soltanto ad esito di comprovati controlli, eseguiti secondo le prescrizioni del terzo comma, superiori allo 0,6%, fermo restando l’esclusione di responsabilità per l’agricoltore.
I prelievi pertanto dovranno essere eseguiti, in via ordinaria, soltanto dal Corpo Forestale e secondo i criteri previsti dai Regolamenti Comunitari ed in presenza del coltivatore il quale ha diritto non solo di assistere, ma anche di ricevere copia del campione prelevato. Il Corpo Forestale non potrà comunque ed in nessun caso procedere al sequestro o alla distruzione delle coltivazioni senza il mandato dell’Autorità Giudiziaria che, ipso facto, potrà essere disposto solo ad esito dei controlli sui limiti di THC che dovranno risultare superiori allo 0,6%.
Dal combinato disposto dei commi 5 e 7 si evince comunque che in ogni caso alcuna responsabilità potrà essere imputata all’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di legge circa l’acquisto e la conservazione dei cartellini delle sementi.
Art. 5.
(Limiti di THC negli alimenti)
Con decreto del Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti.
L’art. 5 introduce una delle tematiche più dibattute negli ultimi anni ovvero i limiti di THC nei singoli alimenti. Appare manifesto come una legge dello stato non costituisca lo strumento normativo per la determinazione dei singoli limiti, che verranno determinati con decreto del Ministero della Salute entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge. A tal proposito si consiglia comunque agli operatori di settore di attenersi, nelle more, ai limiti previsti dal parere dell’Istituto Superiore di Sanità reso nell’anno 2008 che contiene una puntuale descrizione e determinazione dei limiti di THC nei singoli alimenti.
Art. 6.
(Incentivi per la filiera della canapa)
- Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, compatibilmente con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, destina annualmente una quota delle risorse disponibili a valere sui piani nazionali di settore di propria competenza, nel limite massimo di 700.000 euro, per favorire il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa.
- Una quota delle risorse iscritte annualmente nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sulla base dell’autorizzazione di spesa di cui alla legge 23 dicembre 1999, n. 499, può essere destinata, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e i processi di prima trasformazione della canapa, finalizzati prioritariamente alla ricostituzione del patrimonio genetico e all’individuazione di corretti processi di meccanizzazione.
L’art. 6 disciplina gli incentivi economici per la costituzione delle filiere della canapa, prevedendo un regime di sovvenzioni fino ad € 700.000,00 annui per incentivare miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione.
Da una prima lettura appare evidente come tali incentivi siano veramente limitati ma la materia rappresenta terreno minato vista la conflittualità tra le coperture finanziarie necessarie e la normativa comunitaria circa il divieto di aiuti di stato, normativa che purtroppo costituisce talvolta un enorme limite alla sovranità nazionale su tematiche ben più importanti della filiera della canapa.
Art. 7.
(Riproduzione della semente)
Gli enti di ricerca pubblici, le università , le agenzie regionali per lo sviluppo e l’innovazione, anche stipulando protocolli o convenzioni con le associazioni culturali e i consorzi dedicati specificamente alla canapicoltura, possono riprodurre per un anno la semente acquistata certificata nell’anno precedente, utilizzandola per la realizzazione di piccole produzioni di carattere dimostrativo, sperimentale o culturale, previa comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
L’art. 7 costituisce una norma estremamente importante per gli operatori di settore in quanto consente ad enti di ricerca pubblici, alle università, alle agenzie regionali per la RSI di poter riprodurre per un anno la semente acquistata certificata nell’anno precedente, il tutto anche attraverso protocolli e convenzioni con associazioni e consorzi dedicati alla canapicoltura.
Purtroppo tale norma consente di riprodurre le sementi solo per un anno e limitatamente per la “realizzazione di piccole produzioni di carattere dimostrativo, sperimentale o culturale”; tali precisazioni limitano enormemente la riproduzione sementiera locale dal momento che impedisce il naturale ciclo pre-base, base, R1 e R2 necessario per la realizzazione di varietà autoctone. Peraltro tale norma limita la facoltà di autoproduzione degli agricolturi obbligando comunque i medesimi a rivolgersi ai rifornitori che facilmente potranno unirsi in veri e propri cartelli con la conseguenza di dare vita ad oligopoli collusivi tra le ditte sementiere ed i rivenditori, il tutto a scapito della concorrenza e delle produzioni locali.
Art. 8.
(Sostegno delle attività di formazione, di divulgazione e di innovazione)
Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, negli ambiti di rispettiva competenza, possono promuovere azioni di formazione in favore di coloro che operano nella filiera della canapa e diffondono, attraverso specifici canali informativi, la conoscenza delle proprietà della canapa e dei suoi utilizzi nel campo agronomico, agroindustriale, nutraceutico, della bioedilizia, della biocomponentistica e del confezionamento.
Art. 9.
(Tutela del consumatore)
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali promuove il riconoscimento di un sistema di qualità alimentare per i prodotti derivati dalla canapa ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, lettere b) o c), del regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013.
Gli artt. 8 e 9 si limitano a dettare norme di indirizzo circa le facoltà per gli Enti pubblici, da una lato, di promuovere azioni di formazione in favore degli operatori di settore, dall’altro di consentire al MIPAAF di riconoscere un sistema di qualità alimentare per i prodotti a base di canapa ai sensi di legge. Norme entrambe che potranno essere valutate solo a seguito della loro prassi applicativa.
Art. 10.
(Clausola di invarianza finanziaria)
All’attuazione delle disposizioni della presente legge si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Da una prima lettura del testo normativo appare evidente come la legge n. 242/2016 rappresenti un punto di arrivo dal momento che finalmente il nostro Paese si è preoccupato di disciplinare un settore in forte espansione e che sta attirando notevole interesse da più parti con una normativa munita di adeguato rango gerarchico.
Al tempo stesso la legge costituisce un punto di partenza per andare a disciplinare nel dettaglio alcuni lati che permangono “oscuri”, quali l’impiego delle sole inflorescenze (ad esempio per tisane e decotti,), gli utilizzi in sede di floricoltura (la disciplina risulta assai scarna e potrebbe lasciare spazio a pratiche non del tutto consone) e l’estrazione di olii essenziali che molto interesse destano soprattutto in ambito nutraceutico e fitoterapico.
La legge stessa prelude comunque ad ulteriori interventi normativi in sede regolamentare che andranno a disciplinare le zone oscure fornendo sicuramente adeguate linee interpretative.
Siamo sicuri inoltre che il MIPAAF, che negli ultimi anni ha dimostrato una notevole sensibilità alla memoria, promuoverà sia tavoli di filiera sia tavoli tecnici per affrontare le varie questioni tuttora irrisolte sempre sotto il segno del dialogo interministeriale (Ministero della Sanità e Ministero dello Sviluppo Economico in primis) sia con le associazioni ed i soggetti rappresentativi di categoria.